the Outsider (2004)

the Outsider

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Documentario sugli aspetti performativi delle tradizioni religiose cubane
girato fra Santiago de Cuba e Vienna nell’estate del 2004

regia di Juri Piroddi

con: Yap Sun Sun, Juri Piroddi, Juan González (Madelaine)
Dioscoride Pérez (Taraban), Abelardo Larduet Luaces
Reinaldo Blanco Licea (Sisi), José Millet

riprese e montaggio: Andreas Pamperl e Juri Piroddi

una co-produzione: Rossolevante / www.Kunstraumgestaltung.net (Vienna)
colore - durata: 37 min.

reportage fotografico di Silvia Cattoi

the Outsider registra una prima possibilità di incontro fra praticanti dei culti tradizionali cubani di matrice africana e performer non-cubani. Girato nella città di Santiago de Cuba e nel villaggio di El Cobre nei giorni del “Festival del Caribe – Fiesta del Fuego”, documenta la ricchezza dei rituali della Santerìa e della Regla de Palo Mayombe, così come il lavoro già intrapreso nella costruzione di un ponte fra queste pratiche tradizionali e le arti performative.

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Un incontro Yoruba
© 2003-2009 Juri Piroddi

Lorsque je me suis assis pour la première fois devant ce cahier d’écolier, j’ai tâché de fixer mon attention, de me recueillir comme pour un examen de conscience. Mais ce n’est pas ma conscience que j’ai vue de ce regard intérieur ordinairement si calme, si pénétrant qui néglige le détail, va d’emblée à l’essentielle. Il semblait glisser à la surface d’une autre conscience jusqu’alors inconnue de moi, d’un miroir trouble où j’ai craint tout à coup de voir surgir un visage – quel visage : le mien peut-être ?… Un visage retrouvé, oublié. Il faudrait parler de soi avec une rigueur inflexible.

L’otto settembre a Cuba è il giorno di Ochùn. Nella Santerìa o Regla de Ocha – il più diffuso fra i culti cubani introdotti nell’isola dagli schiavi provenienti dall’Africa occidentale – Ochùn è un’orisha (divinità) molto importante. E’ la regina delle acque dolci, dei torrenti, dei laghi; personificazione dell’amore e della fecondità, della femminilità e di tutto ciò che è vita e piacere, adora le feste e i balli, la musica, i gioielli e l’oro. Il suo titolo è Iyalode (massima onorificenza conferita a una donna nel Golfo di Guinea), che significa "madre delle nazioni". Per questioni di difesa e di sopravvivenza alla forzata conversione al cristianesimo nel periodo coloniale in cui i neri africani furono schiavi (1515-1886), ciascun orisha ha un suo equivalente nei santi del cattolicesimo e Ochùn si sincretizza con la patrona di Cuba, la Vergine della Carità del Cobre – antico villaggio minerario della Sierra, a mezz’ora da Santiago. Questo sincretismo si spiega essenzialmente col fatto che in Nigeria (dove Ochùn è la divinità del fiume omonimo che attraversa la regione di Oshogbo), nell’antichità il rame (cobre, in castigliano) rappresentava il metallo più prezioso. Si dice che Ochùn apprezzasse in modo particolare i gioielli creati con questo metallo, nel quale sarebbe depositato parte del suo ashé (potere). Adesso che il rame non è più considerato prezioso, l’orisha ha cambiato gusti e ha optato per l’oro, che è uno dei suoi attributi.
Alla “Casa del Caribe” – fondamentale istituzione per lo studio, la trasmissione e la promozione del folklore di matrice africana – in onore dell’orisha hanno organizzato una festa memorabile con tanta gente e tanto rum. Davanti all’altare di Ochùn, allestito con profusione di stoffe color giallo e oro (i suoi colori) e adorno di girasoli, si sono alternati per ore i danzatori, “figli” del Santo, accompagnati dalla musica ipnotica di tamburi e canti del gruppo “Ko-ko-yé”. Proprio in quel pomeriggio afoso ho conosciuto Yamil Derribal Mengana. Mi trovavo a Santiago già da qualche giorno per un periodo di ricerca sui canti e le pratiche cultuali della tradizione Yoruba e avevo bisogno di qualcuno che mi facesse da guida, qualcuno iniziato alla Santerìa che mi portasse a vedere delle autentiche cerimonie religiose e non degli spettacoli colorati e un po’ kitch messi su per turisti in cerca di esotismi. Non avevo ancora incontrato nessuno e tutto quello che sapevo su questo mondo l’avevo letto nei libri ma, soprattutto, l’avevo appreso durante la mia esperienza di doer (attuante) presso il “Workcenter of Jerzy Grotowski” di Pontedera (Pisa). Tutte le attività di questo Centro di lavoro hanno infatti per base la pratica quotidiana di elementi tecnici delle arti performative in relazione alle antiche tradizioni di matrice africana e afro-caraibica.
Yamil è, secondo me, un Performer, proprio nell’accezione grotowskiana del termine: un uomo d’azione, qualcuno che dispone del doing, del fare e non di idee e teorie; qualcuno che non “fa la parte di un altro” ma che è.
26 anni, di origini Yoruba (discendente quindi di schiavi tratti dalla Nigeria), Yamil è cantante, percussionista, danzatore e conoscitore delle pratiche cultuali della Regla de Ocha. E’ pure un fine narratore delle aggrovigliate storie mitiche (patakìs) riguardanti gli orishas. Vive lavorando in uno dei diversi gruppi folklorici che animano la “Casa del Caribe” e arrotonda cantando nelle cerimonie di tambores de fundamento de santo (Batà). E’ “figlio” di Orùla, l’orisha della sapienza e della divinazione, assimilato nel sincretismo a San Francesco d’Assisi.
Grazie alla forte e disinteressata amicizia che è presto nata tra Yamil e me, pur non essendo iniziato al culto, ho potuto assistere alle più disparate cerimonie della Santerìa. Di solito funzionava così: Yamil mi telefonava in tarda mattinata per comunicarmi l’indirizzo dell’abitazione in cui ci saremmo incontrati, io uscivo di casa, inforcavo una delle tante moto che, illegalmente, svolgono servizio di taxi e in dieci minuti, per la modica cifra di 15 pesos cubani (circa mille lire), ero già sul posto pronto per la cerimonia.
Mi sono spesso ritrovato a essere l’unico bianco presente eppure mai mi sono sentito a disagio, nemmeno nelle fasi più intense della liturgia, caratterizzate da fenomeni di trance-possessione. Anzi, ci sono state volte in cui mi sembrava di avere ritrovato, finalmente, la strada di casa… In un barrio sconosciuto che non avrei saputo rintracciare sulla mappa di Santiago, in una stanza occupata da 50 persone che, insieme, per 5-6 ore di seguito, cantavano ballavano pregavano invocavano bevevano rum al ritmo ipnotico dei tamburi sacri (ilù añà) che hablaban, con temperature impossibili e un’umidità spaventosa, ho sentito di essere parte di un fiume in piena che scorre veloce. Per il fatto di conoscere già quei canti non ero più l’italiano, lo straniero; stavo in una comunità alla quale avevo scelto di appartenere, eletta quale mia patria autentica. Di più, in certi momenti mi è capitato di non sentire nemmeno più il peso di me stesso. Chi è io, cos’è questa personalità di cui si parla? C’è chi afferma che l’io sia uno stato neurobiologico che si rinnova in maniera incessante e chi lo costituisce non si rende conto di esserne riplasmato senza tregua. Sarebbe la memoria ad ingannarci e a farci credere unitari, personalità compiute, addirittura. È così? Forse io è solo una crosta superficiale di meccanismi acquisiti e ripetuti per inerzia. Forse al nostro interno vive qualcun altro, un fratello nascosto e dimenticato che ci accompagna fin dalla nascita. A man inside a man, dicono certe tradizioni; Self-within-the self (Harold Bloom). Quella voce di cui ha parlato Martin Heidegger che si rivolge all’esser-ci (umano) in quanto immerso nel mondo e lo richiama a se stesso, a ciò che egli autenticamente è e non può non essere. Like an immobile look: a silent presence, like the sun which illuminates the things, ha scritto Grotowski. Può capitare che ci si imbatta negli strumenti giusti per far venire fuori quest’Altro uomo (per es. certi canti di tradizione). E allora, liberi dalla maschera che la società ci impone e alla quale ci aggrappiamo (il nostro addobbo sociale) illudendoci che sia il nostro vero volto, scopriamo la faccia nascosta (inconscia?), inimmaginabile – forse riaffiora qualcosa della nostra infanzia... Qui non si è più stranieri al mondo e a se stessi.
Sicuro, poi ogni cerimonia finisce e si ricomincia con la solita routine ma per un po’ abbiamo messo il naso dall’altra parte della soglia e ci rimane la memoria dell’atto e il desiderio di riviverlo.
E’ stata dura lasciare la magica Santiago, poverissima e ricchissima città di una Cuba che resiste, nonostante tutto, e che va avanti come può. Ma ho promesso a Yamil di tornare al più presto, magari per realizzare un progetto di lavoro di più ampio respiro, che comprenda un film documentario e uno spettacolo teatrale con artisti cubani da far girare in Europa. E che avrà come tema the Outsider. Lo straniero, appunto.
(inverno 2003)

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Nel giugno del 2004 sono tornato a Santiago de Cuba assieme al video-maker viennese Andreas Pamperl per filmare il “Festival del Caribe – Fiesta del Fuego”. Questa volta gli intensi ritmi di lavoro non mi hanno concesso alcun crollo gioioso dell’io. Siamo però riusciti a filmare delle cose molto belle. Naturalmente non ce l’ho fatta a raccogliere la modesta somma di 250.000 dollari che mi avrebbe permesso di realizzare il progetto cubano così come l’avevo sognato e buttato giù per iscritto. Siamo comunque arrivati a realizzare un film documentario di 37 minuti, una mostra fotografica con scatti di Silvia Cattoi e uno spettacolo intitolato Avvicinamenti, ricco di canti di tradizione provenienti da Cuba che hanno riempito spiagge boschi strade e montagne di questo angolo di Sardegna che abitiamo.

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«Regista al film d'esordio»

'The Outsider', il film a cavallo tra teatro e antropologia ideato dal regista lanuseino Juri Piroddi, terrà la sua prima, domenica 21 novembre, alle ore 17, nella sala grande del Centro di aggregazione sociale di Lanusei. Ad essere presentato al pubblico sarà il mediometraggio realizzato la scorsa estate tra Cuba e Vienna, prima tappa di un più vasto progetto 'in divenire' che vuole unire diverse forme d'arte (cinema, arti performative, fotografia). 'The Outsider' (Lo Straniero) prende ispirazione dai rituali sacri della 'Santeria' e della 'Regla del Palo Mayombe', eredità delle tradizioni importate sull'isola caraibica dagli schiavi africani. Riti che conservano ancora oggi intatta la loro forza evocativa. L'idea del progetto venne a Piroddi dalla frequentazione del 'Centro di Lavoro di Jerzy Grotowsky' che agli elementi performativi delle pratiche tradizionali informava la sua idea di teatro. Il progetto vuole gettare un ponte tra performers cubani e non cubani, tra chi è parte accreditata di questa ritualità (l'Insider) e chi vi si accosta da esterno (l'Outsider, appunto). Da questo accostamento è nato un film-documentario che diventerà spunto per ulteriori sviluppi del progetto, dal punto di vista teatrale, cinematografico e fotografico. Si tratta di immagini girate nella città di Santiago de Cuba e nel villaggio di El Cobre durante il 'Festival del Caribe', suoni e colori che documentano il fascino e la ricchezza dei rituali legati alla 'Santeria' e alla 'Regla de Palo'. Il mediometraggio illustra anche la ricerca sui canti portata avanti da Juri Piroddi e dall'attrice Yap Sun Sun. A questa prima ogliatrina saranno presenti gli autori: Piroddi, ideatore e regista, leader della compagnia teatrale Rossolevante; Silvia Cattoi, autrice delle foto; Andreas Pamperl, viennese, autore delle riprese e del montaggio; Yap Sun Sun, attrice. Determinante il sostegno della 'Casa del Caribe', istituzione che lavora alla promozione di tutte le forme culturali popolari dell'isola caraibica. Alla proiezione seguirà un dibattito con gli spettatori. L'ingresso è gratuito.

(Francesco Manca, su l’Unione Sarda di Giovedì 18 novembre 2004)