Con lo stesso entusiasmo con cui invitammo non molto tempo fa i nostri lettori a non perdere due mostre romane eccezionali, quella su Giotto e quella su Beato Angelico, oggi li sollecitiamo – in particolare i più giovani – a non mancare un evento espositivo straordinario. Parliamo di Caravaggio Bacon che, per la cura di Anna Coliva e Michael Peppiatt, sarà visitabile preso la galleria Borghese di Roma fino al 24 gennaio.
Diciamo subito che non siamo d’accordo con la sottolineatura, presente in molte recensioni comparse sulla stampa, che tende a rimarcare l’assenza di un valore pedagogico e storico culturale nell’accostamento di questi due grandi personaggi, di cui ricorre rispettivamente il quattrocentesimo anniversario della morte (1571-1610) e il centesimo anniversario della nascita (1909-1992).
La fruizione di questa mostra non è solo un’esperienza estetica ma permette, attraverso una sintesi ardita, di poter ri-conoscere il Moderno dal Contemporaneo. E ci spieghiamo. Michelangelo Merisi da Caravaggio, da molti ritenuto (secondo noi a ragione) il più grande pittore di tutti i tempi, non è solo, come vorrebbe un suo inquadramento scolastico, uno dei massimi esponenti del Seicento Barocco. Caravaggio è molto di più. Egli è il padre della pittura moderna. E’ il padre stesso del Moderno. Come del resto Roberto Longhi, che ha meriti enormi relativamente alla (tardiva) rivalutazione di questo gigante della storia dell’arte, sostiene con autorevolezza. Per quanto ci riguarda, se possiamo azzardare un nostro piccolissimo contributo già “tentato” altre volte su queste pagine, riteniamo che la modernità di Caravaggio vada rintracciata nella sua capacità di liberarsi da un imperativo che “legava” l’arte rinascimentale che lo precedeva. Questo imperativo riconduceva all’obbligo che i pittori – anche i massimi – in quel tempo subivano di dover far derivare le loro opere – ancorché fantastiche e originali – da un mondo, da una realtà che era quella del “dover essere” dal punto di vista della religione cattolica, dal punto di vista del potere. Caravaggio spezza questa catena e inaugura una lunga stagione in cui la pittura trae alimento dalle sollecitazione della realtà umana immanente, carnale, dalla realtà “così com’è”.
Non a caso Longhi parla dell’asse Caravaggio-Courbet. Con Caravaggio inizia l’avventura del moderno che finirà quando cominceranno a delinearsi, nella seconda metà dell’Ottocento, i lineamenti di un nuovo approccio alla realtà da parte della pittura allora trainante che era quella francese. Questo nuovo approccio, che condurrà al Contemporaneo, è quello siglato da un interesse per la realtà non più come essa è oggettivamente ma come appare soggettivamente, come appare cioè se osservata unicamente attraverso l’occhio e la sensibilità dell’autore che diventano assolutamente prevalenti sul dato reale. Di questo nuovo capitolo che arriva fino a noi fanno parte i grandi paragrafi dell’Impressionismo, dell’Espressionismo, del Cubismo, dell’Astrattismo. Fino al Dadaismo e a Duchamp che inaugurano la vera rivoluzione copernicana dell’arte concettuale, secondo la quale quello che conta veramente non è più il manufatto artistico e l’osservazione della realtà esterna. Quello che conta è l’idea dell’artista. Scolastico è ormai diventato l’esempio dell’orinatoio di Duchamp, il primo vero ready made. Ebbene Francis Bacon, da molti considerato il massimo pittore “figurativo” del Contemporaneo, è l’autore di una ricognizione sulle angosce dell’oggi tutta interna al suo personale travagliatissimo orizzonte. Ecco perché accostare Caravaggio e Bacon oggettivamente, al di là della consapevolezza di chi ci ha pensato per primo, rappresenta una geniale soluzione per “spiegare” ciò che distingue il Contemporaneo dal Moderno.
Certo l’esperienza visiva ed emotiva che si vive osservando le tredici tele di Caravaggio e le venti di Bacon non è di quelle archiviabili entro ambiti puramente didascalici e tassonomici. Osservare lo spettacolo che la galleria Borghese offre è partecipare a una rivoluzione in grado di ri-definire gli ambiti del bello (del vero) in contrasto con quelli del fatuo e del brutto (il falso). Questi ultimi ammorbano da troppo tempo le nostre società “opulente” e diseguali, poverissime come sono di cultura (e di verità).
Che Caravaggio e Bacon avessero in comune una disposizione naturale a vivere le angosce della vita sulla propria pelle e nella propria carne rappresenta un importante valore aggiuntivo. Esso, tra le altre cose, ci indica una verità non secondaria: esistono passioni e tormenti che rimangono gli stessi nonostante il mutare dei tempi e la allocazione del potere. Semmai quello che si può osservare è che negli ultimi decenni la marmellata soporifera del postmoderno sembra attenuare, arrotondare le cuspidi della passione. Col risultato di fornire un elettroencefalogramma quasi piatto dal punto di vista della fisiologia collettiva delle passioni. Osservare le opere di questi due grandi pittori, pur nella vistosa asimmetria di valori che li distingue (Caravaggio è quasi insuperabile) è una “cura” efficace per questi mali, che consente di dare e darci una scossa dal torpore profuso da una società mediocratica, insulsa e mortifera quale quella in cui siamo costretti a vivere. Il dialogo scioccante tra le opere dei due artisti, le cui parabole distano fra di loro oltre tre secoli, si fonda sul confronto fra tredici tele di Caravaggio provenienti dalla Galleria Borghese ma anche da chiese e musei romani con l’aggiunta della Resurrezione di Lazzaro di Messina, la Negazione di Pietro del Metropolitan, il Martirio di Sant’Orsola di Napoli e il Cavalier Martelli di Palazzo Pitti e diciassette opere di Bacon, fra le quali sono presenti due trittici, uno proveniente da Oslo e l’altro dalla Tate di Londra. Il confronto fra questi due giganti non intende configurare un rapporto di filiazione artistica tra Bacon e Caravaggio. Il primo trasse spunto dalla storia della pittura osservando, Michelangelo, Rembrandt, Velasquez e Van Gogh. Ma non volle confrontarsi con essi da semplice allievo. Anzi inondò i riferimenti classici della sua collera e dei suoi tormenti. Così come Caravaggio si rivolse all’iconografia cristiana, quasi solo unicamente per essere messo in condizione di operare in un mondo dominato dalla cultura che quella iconografia rappresentava. Per il resto Caravaggio, il quale non per caso ebbe un rapporto contrastato (fatto di amore e di odio) con la committenza, fu un rivoluzionario che seppe dividere la storia dell’arte in due. C’è un prima e un dopo Caravaggio. Francis Bacon è una parte considerevole ed emozionante di questo “dopo”.
di Roberto Gramiccia