Variazioni e appunti su un tema di Pier Paolo Pasolini
esito finale del laboratorio condotto da Juri Piroddi
assistente: Silvia Cattoi
musiche di Patti Smith, Giovanna Marini, Daniele Sepe e J. S. Bach
montaggio video: Marco Demara
spezzoni tratti da: Medea, Mamma Roma, Comizi d’Amore
e dal libro a fumetti Intervista a Pasolini di Davide Toffolo
con gli allievi:
Noemi Aresu, Carlotta Baldussi, Simone Cardia, Carla Cossu, Luana Demurtas, Riccardo Franceschi, Dania Lai, Federico Lotto, Romina Marras, Simone Mereu, Alessandra Olianas, Eleonora Piras
Questo lavoro è un omaggio a uno dei più importanti intellettuali del Novecento a trenta anni dalla sua tragica e misteriosa scomparsa. Uno spettacolo-montaggio composto da una rapsodia di azioni, racconti teatrali, testi poetici, situazioni e personaggi: Mamma Roma, Accattone, Biancofiore, il Ninetto della riscrittura pasoliniana dell’Histoire du Soldat, Stracci da La ricotta ecc., che si intrecciano alla video-proiezione di alcuni frammenti delle opere cinematografiche del poeta di Scasarza. Il punto di partenza nella creazione di questo spettacolo è stato il film-inchiesta Comizi d’Amore, girato da Pasolini nel 1963: un’indagine sull’amore, sul sesso e sulla morale sessuale nell’Italia del boom economico e della grande rivoluzione antropologica che avrebbe segnato questo passaggio fondamentale nella storia del nostro paese.
Il film.
Pasolini percorre tutta la penisola - dalle grandi città alle campagne - chiedendo a passanti, contadini, operai, calciatori famosi, studenti, commercianti, intellettuali, persone comuni appartenenti a diversi ceti sociali, che cosa ne pensino dell'erotismo e dell'amore. Dalle risposte degli intervistati - soprattutto quelli di estrazione borghese - esce un'immagine complessiva dell'Italia ipocrita, costituita di luoghi comuni e frasi fatte.
Tra una ricerca e l'altra, Pasolini commenta i dati raccolti con Alberto Moravia e Cesare Musatti. Il primo sostiene l'iniziativa di Pasolini come esempio di cinema-verità che, per di più, affronta la questione sessuale, per tanti aspetti ancora tabù; il secondo invece è scettico, pensa che la gente non parli, o se lo fa, menta.
Ciò che più colpisce, dice Enzo Siciliano nel suo Vita di Pasolini (Giunti, Firenze 1980), «è la presenza sullo schermo di Pasolini medesimo: il film è il suo più spassionato autoritratto. La sua testardaggine pedagogica, la sua mitezza che era violenza e la sua violenza che era mitezza – quell'insistere nelle domande, quel modularle a pennello, a una madre, a una recluta, a un ragazzotto siciliano, a due frequentatrici di balere; quindi il timbro insolito della sua voce, schermata dietro un rigore razionalista che pare non appartenergli: il film aderiva perfettamente, e fuori di ogni previsione, alla sua persona fisica, al modo in cui erano inforcati gli occhiali o la giacca gli ricadeva sulle spalle». L'impressione che si trae oggi da questa inchiesta filmata è quella di una grande, diffusa ignoranza anche in strati di popolazione più acculturata; di un profondo, generalizzato timore dell'italiano medio ad affrontare un qualsiasi confronto legato ad un tema come il sesso (una delle componenti culturali e antropologiche, ma anche irrazionali e corporee, che individua il nostro essere al mondo), che dovrebbe invece essere trattato con naturalezza.
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PASOLINI I GIOVANI, L' AMORE, IL SESSO VIAGGIO NELL' ITALIA ANNI ' 60 (di Michel Foucault).
Come nascono i bambini? Li porta la cicogna, da un fiore, li manda il buon dio, o arrivano con lo zio calabrese. Guardate il volto di questi ragazzini, invece: non danno affatto l' impressione di credere a ciò che dicono. Con sorrisi, silenzi, un tono lontano, sguardi che fuggono a destra e sinistra, le risposte a tali domande da adulti possiedono una perfida docilità; affermano il diritto di tenere per sé ciò che si preferisce sussurrare. Dire "la cicogna" è un modo per prendersi gioco dei grandi, per rendergli la loro stessa moneta falsa; è il segno ironico e impaziente del fatto che il problema non avanzerà di un solo passo, che gli adulti sono indiscreti, che non entreranno a far parte del cerchio, e che il bambino continuerà a raccontarsi da solo il "resto".
Così comincia il film di Pasolini. Enquête sur la sexualité (Inchiesta sulla sessualità) è una traduzione assai strana per Comizi d'amore: comizi, riunioni o forse dibattiti d'amore. È il gioco millenario del "banchetto", ma a cielo aperto sulle spiagge e sui ponti, all' angolo delle strade, con bambini che giocano a palla, con ragazzi che gironzolano, con donne che si annoiano al mare, con prostitute che attendono il cliente su un viale, o con operai che escono dalla fabbrica. Molto distanti dal confessionale, molto distanti anche da quelle inchieste in cui, con la garanzia della discrezione, si indagano i segreti più intimi, queste sono delle Interviste di strada sull' amore. Dopo tutto, la strada è la forma più spontanea di convivialità mediterranea. Al gruppo che passeggia o prende il sole, Pasolini tende il suo microfono come di sfuggita: all' improvviso fa una domanda sull' "amore", su quel terreno incerto in cui si incrociano il sesso, la coppia, il piacere, la famiglia, il fidanzamento con i suoi costumi, la prostituzione con le sue tariffe. Qualcuno si decide, risponde esitando un poco, prende coraggio, parla per gli altri; si avvicinano, approvano o borbottano, le braccia sulle spalle, volto contro volto: le risa, la tenerezza, un po' di febbre circolano rapidamente tra quei corpi che si ammassano o si sfiorano. Corpi che parlano di loro stessi con tanto maggior ritegno e distanza quanto più vivo e caldo è il contatto: gli adulti parlano sovrapponendosi e discorrono, i giovani parlano rapidamente e si intrecciano. Pasolini l'intervistatore sfuma: Pasolini il regista guarda con le orecchie spalancate. Non si può apprezzare il documento se ci si interessa di più a ciò che viene detto rispetto al mistero che non viene pronunciato.
Dopo il regno così lungo di quella che viene chiamata (troppo rapidamente) morale cristiana, ci si poteva aspettare che nell'Italia di quei primi anni sessanta ci fosse un certo qual ribollimento sessuale. Niente affatto. Ostinatamente, le risposte sono date in termini giuridici: pro o contro il divorzio, pro o contro il ruolo preminente del marito, pro o contro l'obbligo per le ragazze a conservare la verginità, pro o contro la condanna degli omosessuali. Come se la società italiana dell' epoca, tra i segreti della penitenza e le prescrizioni della legge, non avesse ancora trovato voce per raccontare pubblicamente il sesso, come fanno oggi diffusamente i nostri media. «Non parlano? Hanno paura di farlo», spiega banalmente lo psicanalista Musatti, interrogato ogni tanto da Pasolini, così come Moravia, durante la registrazione dell'inchiesta. Ma è chiaro che Pasolini non ci crede affatto.
Credo che ciò che attraversi il film non è l'ossessione per il sesso, ma una specie di timore storico, un' esitazione premonitrice e confusa di fronte a un regime che allora stava nascendo in Italia: quello della tolleranza. È qui che si evidenziano le scissioni, in quella folla che tuttavia si trova d'accordo a parlare del diritto, quando viene interrogata sull'amore. Scissioni tra uomini e donne, contadini e cittadini, ricchi e poveri? Sì, certo, ma soprattutto quelle tra i giovani e gli altri. Questi ultimi temono un regime che rovescerà tutti gli adattamenti, dolorosi e sottili, che avevano assicurato l'ecosistema del sesso (con il divieto del divorzio che considera in modo diseguale l'uomo e la donna, con la casa chiusa che serve da figura complementare alla famiglia, con il prezzo della verginità e il costo del matrimonio). I giovani affrontano questo cambiamento in modo molto diverso: non con grida di gioia, ma con una mescolanza di gravità e di diffidenza perché sanno che esso è legato a trasformazioni economiche che rischiano assai di rinnovare le diseguaglianze dell'età, della fortuna e dello status. In fondo, i mattini grigi della tolleranza non incantano nessuno, e nessuno vede in essi la festa del sesso. Con rassegnazione o furore, i vecchi si preoccupano: che fine farà il diritto? E i "giovani", con ostinazione, rispondono: che fine faranno i diritti, i nostri diritti? Il film, girato quindici anni fa, può servire da punto di riferimento.
Un anno dopo Mamma Roma, Pasolini continua su ciò che diventerà, nei suoi film, la grande saga dei giovani. Di quei giovani nei quali non vedeva affatto degli adolescenti da consegnare a psicologi, ma la forma attuale di quella "gioventù" che le nostre società, dopo il Medioevo, dopo Roma e la Grecia, non hanno mai saputo integrare, che hanno sempre avuto in sospetto o hanno rifiutato, che non sono mai riuscite a sottomettere, se non facendola morire in guerra di tanto in tanto. E poi il 1963 era il momento in cui l'Italia era entrata da poco e rumorosamente in quel processo di espansione-consumo-tolleranza di cui Pasolini doveva redigere il bilancio, dieci anni dopo, nei suoi Scritti corsari. La violenza del libro dà una risposta all'inquietudine del film. Il 1963 era anche il momento in cui aveva inizio un po' ovunque in Europa e negli Stati Uniti quella messa in questione delle forme molteplici del potere, che le persone sagge ci dicono essere "alla moda". E sia pure! Quella "moda" rischia di rimanere in voga ancora per un po' di tempo, come accade in questi giorni a Bologna.
di Michel Foucault
traduzione dal francese di Raoul Kirchmayr
La Repubblica — 27 aprile 2010
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Alcuni personaggi del film
e le loro risposte alle domande di Pier Paolo Pasolini
PASOLINI – Senti eh, guagliò, come nascono i bambini, lo sai? Come sei nato tu, non lo sai? Non lo sai?
1° BAMBINO – Uno zio mio.
PASOLINI – Eh? Uno zio tuo - sei nato... T’ha portato uno zio?
2° BAMBINO – A me mi ha portato la cicogna.
PASOLINI – T’ha portato la cicogna. E tu? Come sei nato?
3° BAMBINO – Sono nato sotto ‘e cuperte!
PASOLINI – Senti, vediamo un po’ chi di voi tre sa dirmi come, come voi siete nati, come nascono i bambini. Chi me lo sa dire? Tu lo sai dire?
4° BAMBINO – No.
PASOLINI – Non lo sai dire? E tu Matteo lo sai come sono nati i bambini... E tu? Neanche tu... E tu?
4° BAMBINO – Lo sai come sono nati i picchiriddi?
5° BAMBINO – Io ‘o saccio.
4° BAMBINO – E diccillo, diccillo.
PASOLINI – Vieni qui, vieni qui, vieni qui. Tu non lo sai? Non lo sai? Non sono nati sotto i fiori, sotto i cavoli, li ha portati la cicogna no?
6° BAMBINO – No...
PASOLINI – E allora come sono nati?
BAMBINO – Eh...
PASOLINI – Come sono nati i piccirilli?
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PASOLINI – Ungaretti, secondo lei esiste la normalità e la anormalità sessuale?
GIUSEPPE UNGARETTI – Eh... senta, ogni uomo è fatto in un modo diverso... dico nella sua struttura fisica è fatto in un modo diverso, fatto anche in un modo diverso nella sua combinazione spirituale, no... quindi tutti gli uomini sono a loro modo anormali, tutti gli uomini sono in un certo senso in contrasto con la natura, e questo sino dal primo momento... sino dal primo momento: l’atto di civiltà, che è un atto di prepotenza umana sulla natura, è un atto contro natura.
PASOLINI – Sono molto indiscreto se le chiedo di dirmi qualcosa a proposito di norma, di trasgressioni della norma, sulla sua esperienza intima, personale?
UNGARETTI – Beh... io personalmente, che cosa vuole, io personalmente sono un uomo, sono un poeta... quindi incomincio con trasgredire tutte le leggi facendo della poesia... Ora sono vecchio e allora non rispetto più che le leggi della vecchiaia, che purtroppo sono le leggi della morte.
Da La Ricotta.
GIORNALISTA – Permette una parola? Scusi tanto, forse disturbo…
REGISTA – Dica, dica…
G – Permette? Vorrei da lei una piccola intervista.
R – Ma non più di quattro domande.
G – La prima domanda sarebbe: che cosa vuole esprimere con questa nuova opera?
R – Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.
G – (Mentre prende nota) …arcaico cattolicesimo. E che cosa ne pensa della società italiana?
R – Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa.
G – Ah! E che ne pensa della morte?
R – Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.
G – Quarta e ultima domanda: qual è la sua opinione sul nostro grande regista Federico Fellini?
R – Egli danza. (Ci pensa ancora su. Pausa) Egli danza.
G – Ah, grazie. Arrivederla! (Fa per andar via)
R – «Io sono una forza del passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
(Poi leggendo) Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare,
dai borghi dimenticati sugli Appennini e sulle Prealpi
dove sono vissuti i fratelli.
Giro sulla Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma
sulla Ciociaria, sul mondo
come i primi atti del dopo Storia
cui io assisto per privilegio d’anagrafe
sull’orlo esterno di qualche età sepolta.
Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta
e io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.»
Ha capito qualcosa?
G – Beh, ho capito molto…. Giro per la Tuscolana…
R – Scriva, scriva quello che le dico. (Come dettando) Lei non ha capito niente, perché lei è un uomo medio. E’ così?
G – Beh, sì.
R – Ma lei non sa cos’è un uomo medio? E’ un mostro. Un pericoloso delinquente. Conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista! (Il Giornalista scrive sul suo taccuino e ride) E’ malato di cuore lei?
G – No, no! Facendo le corna!
R – Peccato! Perché se mi crepava qui davanti. Sarebbe stato un ottimo elemento per il lancio del film. Tanto lei non esiste. Il Capitale non considera esistente la mano d’opera se non quando serve la produzione. E il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale. Addio!
°°°°
STRACCI – (In croce) Quando sarai nel Regno dei cieli ricordami al padre tuo. Quando sarai nel Regno dei cieli ricordami al padre tuo.
°°°°
REGISTA – Povero Stracci! Crepare: non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo!
Da La rabbia.
[…] a quasi quarant’anni,
io mi trovo alla rabbia, come un giovane
che di sé non sa altro che è nuovo,
e si accanisce contro il vecchio mondo.
E, come un giovane, senza pietà
o pudore io non nascondo
questo mio stato: non avrò pace, mai.
Frammento alla morte.
[…] una nera rabbia di poesia nel petto.
Una pazza vecchiaia di giovinetto.
Da La religione del mio tempo, pagg. 36-37.
Sesso, consolazione della miseria!
La puttana è una regina, il suo trono
è un rudere, la sua terra un pezzo
di merdoso prato, il suo scettro
una borsetta di vernice rossa:
abbaia alla notte, sporca e feroce
come un’antica madre: difende
il suo possesso e la sua vita.
I magnaccia, attorno, a frotte,
gonfi e sbattuti, coi loro baffi
brindisini o slavi, sono
capi, reggenti: combinano
nel buoi, i loro affari di cento lire,
ammiccando in silenzio, scambiandosi
parole d’ordine: il mondo, escluso, tace
intorno a loro, che se ne sono esclusi,
silenziose carogne di rapaci.
Ma nei rifiuti del mondo, nasce
un nuovo mondo: nascono leggi nuove
dove non c’è più legge; nasce un nuovo
onore dove onore è il disonore…
Nascono potenze e nobiltà,
feroci, nei mucchi di tuguri,
nei luoghi sconfinati dove credi
che la città finisca, e dove invece
ricomincia, nemica, ricomincia
per migliaia di volte, con ponti
e labirinti, cantieri e sterri,
dietro mareggiate di grattacieli,
che coprono interi orizzonti.
Nella facilità dell’amore
Il miserabile si sente uomo:
fonda la fiducia nella vita, fino
a disprezzare chi ha altra vita.
I figli si gettano nell’avventura
sicuri d’essere in un mondo
che di loro, del loro sesso, ha paura.
La loro pietà è nell’essere spietati,
la loro forza nella leggerezza,
la loro speranza nel non avere speranza.